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GIOVANNI PASSANNANTE

Infanzia e formazione
Nato da Pasquale e da Maria Fiore, fu l'ultimo di dieci figli dei quali 4 morti in tenera età. Le condizioni economiche molto difficili della famiglia ebbero una decisiva influenza sulla sua formazione. Costretto per aiutare i suoi a svolgere piccoli lavori sin dalla più tenera infanzia, Giovanni espresse il desiderio di frequentare la scuola. Il perdurare delle misere condizioni familiari, tuttavia non gli consentì di frequentare che brevemente le aule scolastiche.
Cresciuto, nel tentativo di affrancarsi dalla fame che lo costringeva a lavori saltuari da bracciante e guardiano di greggi, si recò a Potenza, dove trovò lavoro come sguattero presso un'osteria. Più tardi, un capitano dell'esercito, nativo come lui di Salvia, ma residente a Salerno, notato il vivo interesse del ragazzo per gli studi, lo prese a servizio presso di sé e gli assegnò un vitalizio che gli consentisse di integrare la propria istruzione. Passannante alternò così la lettura della Bibbia a quella dei giornali e degli scritti di Giuseppe Mazzini.
Abbracciate le idee repubblicane, Giovanni frequentò circoli mazziniani e per questo venne arrestato e trattenuto in carcere per due mesi. Uscito di prigione tornò brevemente presso la famiglia a Salvia (come si chiamava allora il suo paese natale), quindi si recò nuovamente a Potenza, lavorando questa volta come cuoco. Nel 1872 si trasferì a Salerno, ove continuò a svolgere la stessa professione e si iscrisse alla locale società operaia. Grazie al suo attivismo i membri della società si moltiplicarono, passando da 80 a 200. Frattanto Passannante si orientò verso idee anarchiche. Infine, il trasferimento a Napoli.

L'attentato
Il 17 novembre 1878, re Umberto I di Savoia era in visita a Napoli. Quando il corteo reale fu giunto all'altezza del Largo della Carriera Grande, Passannante si avvicinò alla carrozza del sovrano che incedeva lenta tra la folla e, simulando di voler porgere una supplica, salì sul predellino, scoprì un coltellino che teneva avvolto in uno straccio rosso e vibrò un colpo in direzione del Re. Questi riuscì a deviare l'arma, rimanendo leggermente ferito a un braccio. L'attentatore venne afferrato dal primo ministro Benedetto Cairoli che rimase ferito da un taglio alla coscia destra.

L'arresto
Passannante, colpito con una sciabolata alla testa dal capitano dei corazzieri Giovannini, venne tratto in arresto. Sebbene avesse concepito l'attentato ed agito da solo, fu brutalmente interrogato e torturato nel tentativo di fargli confessare un'inesistente congiura. L'attentatore aveva compiuto il suo gesto con un coltellino che aveva una lama di 8 cm circa, "buono solo per sbucciare le mele", come dichiarò al processo il proprietario del negozio ove Passannante aveva ottenuto l'arma barattandola con la sua giacca. Nel fazzoletto rosso nel quale aveva nascosto il pugnale, Passannante aveva scritto: «Morte al Re, viva la Repubblica Universale, viva Orsini».

Conseguenze politiche
La notizia dell'attentato produsse in tutta Italia opposti sentimenti di indignazione, da una parte, con numerosi cortei di protesta contro il tentato regicidio, cui si contrapposero coloro che invece si opponevano al re e al governo. Il giorno successivo, 18 novembre, a Firenze alcuni anarchici lanciarono una bomba contro un corteo e restarono uccisi due uomini, una ragazza e ferite più di dieci persone. Lo stesso accadde a Pisa e la notte del 18 novembre venne assalita una caserma di Pesaro. Accanto agli attentati, si registrarono diverse manifestazioni, anche apertamente favorevoli all'attentatore. Il giovane poeta Giovanni Pascoli, intervenendo in una riunione di aderenti ad ambienti socialisti a Bologna, diede pubblica lettura di una sua Ode a Passannante; nonostante egli avesse poco dopo strappato il suo componimento, fu arrestato e trattenuto in prigione. Di tale ode non è rimasta traccia, se non gli ultimi due versi, tramandati oralmente: "Con la berretta del cuoco,//faremo una bandiera!".
A seguito della precaria situazione nel Paese, l'11 dicembre 1878 un ordine del giorno favorevole al governo venne respinto a grande maggioranza dalle Camere e Cairoli si dimise il successivo 19.

Repressione e persecuzione
All'agitazione che scuoteva il Paese si era tentato di fare fronte con una pesante opera di repressione che investì l'intero territorio italiano: la magistratura istruì circa 140 processi contro appartenenti a circoli anarchici.
L'intera famiglia dell'attentatore, composta dalla madre settantaseienne, due fratelli e tre sorelle - colpevoli solo d'essere consanguinei del Passannante - furono arrestati già il giorno dopo l'attentato e condotti nel manicomio criminale di Aversa dove furono internati fino alla morte. Solo il fratello Pasquale riuscì a fuggire.
Il trattamento riservato alla famiglia dell'attentatore riecheggia il rigore proprio delle monarchie assolutistiche dell'Ancien régime: nell'ottobre del 1768, nella Parigi di Luigi XV, la moglie di una persona colpevole di aver venduto un libro proibito di d'Holbach, fu internata a vita in manicomio.

Cambia il nome del suo paese
Il sindaco del paese di origine di Passannante, Salvia di Lucania, fu costretto a recarsi al cospetto del re implorando perdono e umiliandosi al punto di offrire, come gli era stato imposto, di mutare il nome del comune in Savoia di Lucania (PZ), nome che porta ancor oggi. Parenti e omonimi del Passannante dovettero lasciare il paese trasferendosi a Vietri di Potenza.

Processo, condanna e tortura
Processato con un difensore d'ufficio, l'anarchico fu condannato a morte, sebbene il codice penale prevedesse la pena capitale solo in caso di morte del re e non di ferimento. Successivamente, con Regio Decreto del 29 marzo 1879, la pena gli fu comunque commutata in ergastolo, da scontarsi in condizioni disumane a Portoferraio, sull'isola d'Elba. Qui Passannante fu rinchiuso in una cella, priva di latrina, posta sotto il livello del mare, senza poter mai parlare con nessuno e vivendo in completo isolamento per anni tra i propri escrementi, caricato di diciotto chili di catene. Passannante era alto circa 1,60 m, la cella era alta solo 1,40 m.
« Passanante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani … poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. Il disgraziato emetteva di tanto in tanto un grido lacerante che i marinai dell'isola udivano, e rimanevano inorriditi »
(Salvatore Merlino, «L'Italia così com'è», 1891 in "Al caffè", di Errico Malatesta, 1922)
Tali condizioni disumane di detenzione furono oggetto di una denuncia dell'on. Agostino Bertani e della giornalista Anna Maria Mozzoni, a seguito della quale il prigioniero, ormai ridotto alla follia, certificata da una perizia psichiatrica condotta dai professori Biffi e Tamburini, fu trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove morì.

Decapitato dopo la morte
Dopo la sua morte il corpo, in ossequio alle teorie lombrosiane miranti ad individuare supposte cause fisiche di "devianza", fu sottoposto ad autopsia e decapitato e si scoprì che aveva una fossetta dietro l'osso occipitale, e si cominciò a pensare che quella fossetta era il segnale della tendenza all’anarchia di un soggetto, tanto è vero che successivamente si iniziarono ad aprire la testa di tutti gli anarchici che decedevano ed in alcuni la fossetta si trovava in altri mancava. Il cervello e il cranio di Passanante, assieme a suoi blocchi di appunti, studiati dai fautori della teoria eugenetica sviluppata dal criminologo Cesare Lombroso, rimasero esposti sino al 2007 presso il Museo Criminologico dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma, dove si trovavano dal 1936, dopo essere stati conservati presso l'Istituto Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario "Regina Coeli" di Roma.
La permanenza dei resti in esposizione presso il Museo ha causato proteste ed interrogazioni parlamentari. Il 23 febbraio 1999 l'allora ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla osta alla traslazione dei resti del Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che tuttavia avvenne solo otto anni dopo.

La vicenda oggi a Savoia di Lucania
Oggigiorno nel comune di Savoia di Lucania la popolazione è divisa in due comitati opposti: un comitato "pro-Salvia" che rivendica il desiderio di ritornare al vecchio nome "Salvia di Lucania", in memoria delle torture inflitte a Passannante e del ruolo distruttivo dei Savoia nella politica Italiana; ed un comitato "pro-Savoia" che rivendica l'onore di essere legati alla dinastia dei Savoia e condanna l'atto compiuto dall'anarchico. Il comitato "pro-Savoia" aveva previsto per il giorno 1 maggio 2007 un incontro pubblico nel piccolo paese con Emanuele Filiberto di Savoia, ma è stato successivamente annullato.

La vicenda della sepoltura
La sepoltura di Giovanni Passannante era prevista per il giorno 11 maggio 2007 in seguito ad una cerimonia funebre che si sarebbe dovuta tenere alle ore 11 circa del medesimo giorno nella chiesa madre di Savoia di Lucania. Accade però che la sepoltura viene effettuata il giorno precedente a quello stabilito senza rito funebre alcuno, alla sola presenza del sindaco Rosina Ricciardi, di un giornalista del quotidiano "La Nuova Del Sud" e di una sottosegretaria del presidente della giunta regionale della Basilicata Vito De Filippo.La ragione ufficiale di tale gesto risulta essere finalizzata ad evitare problemi di ordine pubblico; sono però presenti molte perplessità in merito espresse da molti esponenti del mondo culturale e politico lucano: in primis l'attore Ulderico Pesce e due esponenti del comitato pro-Salvia Giuseppe Salvatore e Michele Parrella, i quali hanno per giorni portato avanti uno sciopero della fame affinché i resti di Passannante venissero tolti dal cimitero comunale, portati in chiesa madre per il rito funebre e successivamente nuovamente sepolti. Più tardi si è trovato un accordo tra le parti, e si è deciso di seppellire l'uomo nel museo che sarà ubicato all'interno del castello di Savoia di Lucania non appena saranno finiti i lavori di ristrutturazione, i quali saranno effettuati grazie al finanziamento di 1,5 milioni di euro. Il giorno 2 giugno si è tenuta una messa in suffragio del defunto, nella chiesa madre del paesino lucano.Bassa la presenza dei cittadini Salviani, più alta quella di gente venuta da fuori.Nella convention tenutasi nell'ex-cappella di San Rocco il sindaco si è rifiutata di dare spiegazioni in merito alla decisione di seppellire i resti di Giovanni Passannante il giorno precedente a quello previsto per motivi di ordine pubblico. I dubbi permangono.

Autore: Testo tratto dal sito:http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Passannante

 

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